24 Agosto 2016

Importanti modifiche che il Consiglio Nazionale Forense, nella seduta amministrativa del 15 luglio 2011, ha apportato al Codice deontologico (art. 55 bis, art. 54 e art. 16)

CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA

Illustri Presidenti,
Vi trasmetto le modifiche che il Consiglio Nazionale Forense, nella seduta amministrativa del 15 luglio 2011, ha apportato al Codice deontologico, a seguito dell’entrata in vigore dell’istituto della mediazione-conciliazione.
In allegato, troverete la relazione di accompagnamento e il testo degli articoli modificati e di quello di nuova introduzione (55-bis).

Con i migliori saluti
Il PRESIDENTE

RELAZIONE SULLE MODIFICHE APPORTATE AL CODICE DEONTOLOGICO FORENSE A SEGUITO DELL’ENTRATA IN VIGORE DELL’ISTITUTO DELLA MEDIAZIONE/CONCILIAZIONE

Art. 55 bis –Mediazione
L’avvocato che svolga la funzione di mediatore deve rispettare gli obblighi dettati dalla normativa in materia e le previsioni del regolamento dell’organismo di mediazione, nei limiti in cui dette previsioni non contrastino con quelle del presente codice.

I. L’avvocato non deve assumere la funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza.

II. Non può assumere la funzione di mediatore l’avvocato:
a) che abbia in corso o abbia avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti;
b) quando una delle parti sia assistita o sia stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che eserciti negli stessi locali. In ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art.815, primo comma, del codice di procedura civile.

III. L’avvocato che ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti:
a) se non siano decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento;
b) se l’oggetto dell’attività non sia diverso da quello del procedimento stesso.
Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino negli stessi locali.

IV. E’ fatto divieto all’avvocato consentire che l’organismo di mediazione abbia sede, a qualsiasi titolo, presso il suo studio o che quest’ultimo abbia sede presso l’organismo di mediazione.

Art. 16 – Dovere di evitare incompatibilità
Modifica del canone I nel senso che segue (in corsivo la modifica apportata):
L’avvocato non deve porre in essere attività commerciale o comunque attività incompatibile con i doveri di indipendenza e di decoro della professione forense

Art.54 – Rapporti con arbitri e consulenti tecnici
Modifica dell’art.54 nel senso che segue (in corsivo la modifica apportata):
Art.54 – Rapporti con arbitri, conciliatori, mediatori e consulenti tecnici.
L’avvocato deve ispirare il proprio rapporto con gli arbitri,conciliatori,mediatori e consulenti tecnici a correttezza e lealtà nel rispetto delle reciproche funzioni.
*******

L’art.60 della legge 18 giugno 2009 n.69 delegava il Governo ad adottare
uno o più decreti legislativi in materia di mediazione e di conciliazione in ambito
civile e commerciale; tra i principi ed i criteri direttivi cui attenersi nell’esercizio
della delega vi era quello di “prevedere, nel rispetto del codice deontologico, un
regime di incompatibilità tale da garantire la neutralità, l’indipendenza e
l’imparzialità del conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni”.
Detto principio veniva tradotto ed attuato con le disposizioni di cui agli artt.
3 (comma 2), 9 (commi 1 e 2), 10 (commi 1 e 2), 14 (commi 1 e 2 lett. a,b,c) del
D.Lgs.vo 4 marzo 2010 n.28 costituente “attuazione dell’articolo 60 delle legge 18
giugno 2009, n.69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle
controversie civili e commerciali” (pubblicato nella G.U. n.53 del 5 marzo 2010).
Il “regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei
formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle indennità spettanti agli
organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n.28”,
approvato con D.M. 18 ottobre 2010 n.180, all’art.6 comma 4 prevede che “le
violazioni degli obblighi inerenti le dichiarazioni previste dal presente articolo,
commesse da pubblici dipendenti o da professionisti iscritti ad albi o collegi
professionali, costituiscono illecito disciplinare sanzionabile ai sensi delle rispettive
normative deontologiche. Il responsabile è tenuto ad informare gli organi
competenti”.

Completa la griglia normativa fin qui succintamente richiamata, e sempre
per quanto concerne gli aspetti di rilievo ed interesse deontologico, l’art.4 dello
stesso D.Lgs.vo 4 marzo 2010 n.28 che al comma 3 prevede: “All’atto del
conferimento dell’incarico, l’avvocato è tenuto a informare l’assistito della
possibilità di avvalersi del procedimento di mediazione disciplinato dal presente
decreto e delle agevolazioni fiscali di cui agli articoli 17 e 20. L’avvocato informa
altresì l’assistito dei casi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione è
condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’informazione deve essere
fornita chiaramente e per iscritto. In caso di violazione degli obblighi di
informazione, il contratto tra l’avvocato e l’assistito è annullabile. Il documento che
contiene l’informazione è sottoscritto dall’assistito e deve essere allegato all’atto
introduttivo dell’eventuale giudizio. Il giudice che verifica la mancata allegazione
del documento, se non provvede ai sensi dell’articolo 5, comma 1, informa la parte
della facoltà di chiedere la mediazione”.

Con riferimento a quest’ultima previsione la scelta del legislatore, che
coniuga alla mancata informazione all’assistito della possibilità di avvalersi del
procedimento di mediazione la sola “sanzione” civilistica dell’annullabilità del
contratto cosiddetto di patrocinio non configurando espressamente una ipotesi di
responsabilità disciplinare, non esclude che il comportamento totalmente o
parzialmente omissivo dell’avvocato, rispetto alla previsione del modello normativo, possa ed anzi debba essere valutata sul piano deontologico, con
particolare riferimento ai canone di cui all’art.40 del vigente codice.
Da ultimo con il decreto del Ministro della Giustizia 6 luglio 2011 n.145 (
pubblicato nella G.U. n.197 del 25 agosto 2011 ed entrato in vigore il 26 agosto
successivo) si è varato il “regolamento recante modifica al decreto del Ministro della
giustizia 18 ottobre 2010, n.180, sulla determinazione dei criteri e delle modalità di
iscrizione e tenuta del registro degli organismi di mediazione e dell’elenco dei
formatori per la mediazione, nonché sull’approvazione delle indennità spettanti agli
organismi ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo n.28 del 2010”.

L’art.3 di questo decreto n.145/2011, oltre ad avere introdotto la
mediazione/conciliazione cosiddetta “in contumacia” con l’inserimento, dopo la
lettera c) all’articolo 7 comma 5 del decreto n.180/2010, di una espressa
previsione al riguardo sub d), ha disposto, con l’aggiunta allo stesso comma di
una lettera e), che il regolamento deve, in ogni caso, prevedere “criteri inderogabili
per l’assegnazione degli affari di mediazione predeterminati e rispettosi della
specifica competenza professionale del mediatore designato, desunta
anche dalla tipologia di laurea universitaria posseduta”.

Con l’art.2 dello stesso decreto n.145/2011 si è altresì previsto che la
lettera b) dell’articolo 4, comma 3, del decreto n.180/2010, sia sostituita dalla
seguente: “b) il possesso, da parte dei mediatori, di una specifica formazione e di
uno specifico aggiornamento almeno biennale, acquisiti presso gli enti di formazione
in base all’articolo 18, nonché la partecipazione, da parte dei mediatori, nel biennio
di aggiornamento e in forma di tirocinio assistito, ad almeno venti casi di
mediazione svolti presso organismi iscritti”.

L’impianto normativo dell’istituto della mediazione/conciliazione è stato
interessato dall’ordinanza del TAR Lazio, Sezione I, del 12 aprile 2011,
n.3202/2011 con la quale è stata dichiarata rilevante e non manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 24 e 77 Cost., la questione di legittimità
costituzionale dell’art.5 del D.Lgs.vo 28/2010, comma 1, primo periodo (che
introduce l’obbligo del previo esperimento del procedimento di mediazione in una
delle materie indicate dalla norma), secondo periodo (secondo cui il previo
esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della
domanda giudiziale), terzo periodo (secondo cui l’improcedibilità deve essere
eccepita dal convenuto o rilevata d’ufficio dal giudice), nonché dell’art.16 D.Lg.svo
28/2010, comma 1, laddove dispone che abilitati a costituire organismi deputati
a gestire il procedimento di mediazione sono gli enti pubblici e privati che diano
garanzie di serietà ed efficienza.

Le previsioni normative elevate a sospetto di incostituzionalità, tralasciando
gli altri pur pregnanti aspetti, inciderebbero, a giudizio del TAR Lazio, in maniera
non trascurabile sull’esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.) in quanto “ (…..)
non garantiscono, mediante un’adeguata conformazione della figura del mediatore,
che i privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza
degli elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo
conciliativo, rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio”.
In altri termini, sarebbero stati trascurati e tralasciati dal legislatore
delegato, con gli artt. 16 del D.Lgs.vo 28/2010 e con l’art.4 del D.M. 180/210, i
requisiti attinenti alla specifica professionalità giuridico-processuale del
mediatore, riassumibili nei concetti di competenza e professionalità previsti dalla
legge delega, sostituiti da quelli di serietà ed efficienza non privilegiati dalla
normativa primaria di carattere comunitario e nazionale.

In questo contesto, e nell’ambito del perimetro delineato dalla cornice
normativa di riferimento sopra richiamata, il Consiglio Nazionale Forense, in
attesa delle auspicate modifiche dell’istituto conseguenti anche all’incidente di
costituzionalità appena ricordato, ha ritenuto che la messa a punto deontologica
fosse in ogni caso un passaggio urgente ed ineludibile per consentire ai Consigli
degli Ordini il governo dell’istituto anche nei suoi aspetti deontologici e nelle sue
ricadute disciplinari.
Ciò nella consapevolezza che la funzione e l’attività dell’avvocato che svolga
la funzione di mediatore rientrino a pieno titolo nell’ambito dell’attività
professionale in senso proprio; del resto, anche a voler propendere per una
lettura diversa, le conseguenze non muterebbero alla luce della circostanza che
pure l’attività extra professionale rileva deontologicamente se le modalità della
sua realizzazione compromettano la reputazione professionale e l’immagine della
classe forense (art.5 cod.deont.).

Diversamente, si è ritenuto, allo stato, di non ravvisare la necessità e
l’urgenza di intervenire sui profili deontologici dell’avvocato che assiste
tecnicamente la parte nel procedimento di mediazione in quanto per quei profili
vale l’applicazione delle attuali e vigenti regole deontologiche proprie dell’attività
professionale in genere.

Tornando ai profili deontologici cui deve essere informata l’attività
dell’avvocato mediatore civile, l’opzione operativa che il Consiglio ha ritenuto di
sottoporre ai Consigli degli Ordini, per riceverne osservazioni e suggerimenti, è
stata quella della introduzione, nel codice deontologico, di un apposito canone,
risultando questa la scelta più coerente e congrua al sistema e l’unica capace di
dare ed assicurare uniformità ai rilevanti e sensibili profili deontologici del nuovo
istituto.

Su questa scelta vi è stata unanime condivisione da parte delle Istituzioni
forensi che hanno ritenuto di esprimere i loro pareri, pareri che si sono
diversificati unicamente per l’approccio all’impianto della nuova regola
deontologica, volendola alcuni informata a criteri di stretta e cogente rigidità,
desiderandola altri ispirata invece ad una impostazione meno rigorosa e, come
tale, si ritiene, capace di favorire l’affermarsi più agevole nel mercato, e sul piano
della concorrenza, di una figura di avvocato-mediatore che non si trovi ad essere
penalizzata, rispetto anche ad altri soggetti professionali, da eccessivi vincoli di
carattere deontologico.

La scelta di fondo del Consiglio, all’esito dei ricordati pareri e degli
approfondimenti operati dalla Commissione Deontologia, è stata quella di
introdurre una equilibrata regolamentazione che, coerente con l’impianto del
vigente codice deontologico così come tradotto in diritto vivente dalla produzione
giurisprudenziale dei Consigli degli Ordini, dello stesso Consiglio Nazionale e delle
Sezioni Unite della Corte di Cassazione, connoti la peculiarità e specificità della
funzione e del ruolo dell’avvocato-mediatore, esaltandone, accanto alla qualità.

Il Tribunale di Palermo –Sezione Distaccata di Bagheria –con ordinanza del 16 agosto 2011 ha rimesso alla Corte di
giustizia dell’Unione europea una serie di quesiti vertenti sulla interpretazione di alcune disposizioni della direttiva
2008/52/CE, con riferimento ai requisiti di competenza e specifica esperienza professionale del mediatore, ai criteri di
competenza territoriale, alla formulazione della proposta di conciliazione da parte del mediatore.
Il 13 settembre 2011 è stata adottata una risoluzione del Parlamento europeo sull’attuazione della direttiva sulla
mediazione negli Stati membri, impatto della stessa sulla mediazione e sua adozione da parte dei tribunali (2011/2026
(INI) )

tecnica dell’opera prestata, la cifra deontologica. E ciò proprio in diretta saldatura
con la necessità che i cittadini non subiscano “irreversibili pregiudizi” dall’operato
di una figura di mediatore mediocre sul piano tecnico e debole nei presidi di
carattere etico e deontologico.
Qualità tecnica (oggi vieppiù valorizzata dalle previsioni del D.M. 145/2011)
e deontologica della figura dell’avvocato-mediatore come fattore decisivo e
vincente, e non certo penalizzante, nell’ambito di un mercato e di una
concorrenza fin troppo connotati da figure di mediatori eterogenee e dai contorni
e dai caratteri, tecnici e deontologici, spesso oltremodo sfumati ed approssimativi.
L’art.55 bis, che segue, con un naturale parallelismo seppur nella
ontologica differenza dei due istituti, la norma in tema di arbitrato di cui all’art.55
del vigente codice deontologico (e tale norma sarà oggetto di un immediato
intervento di modifica da parte del Consiglio per renderla coerente ed
omogenea alla novella rappresentata dallo stesso art.55 bis) richiama nel suo
incipit – utilizzando la stessa tecnica del rinvio che già caratterizza il canone II
dell’art.53 del cod.deont. per l’avvocato chiamato a svolgere funzioni di magistrato
onorario – il rispetto degli obblighi dettati dalla normativa in materia, in
particolare di quelli posti a presidio dei requisiti di terzietà, indipendenza,
imparzialità e neutralità del mediatore, stabilendo altresì un criterio di prevalenza
della normativa deontologica rispetto a quella regolamentare dell’organismo di
mediazione. Ciò in coerenza alla stessa gerarchia imposta e voluta dall’art. 60
comma 2 lettera r) della legge 69/2009.
Se a violare gli obblighi previsti dalla normativa di settore per il mediatore è
un avvocato/mediatore civile ciò integra altrettante ipotesi di illeciti deontologici
valorizzabili dal Consiglio dell’Ordine per effetto della stessa valutazione legale
tipica di cui all’art.6 comma 4 del D.M. 180/2010, restando demandato al giudice
disciplinare il solo compito di graduare la sanzione in relazione alla fattispecie
concreta sottoposta al suo esame.
Il primo canone dell’art.55 bis, nel fare divieto all’avvocato di assumere la
funzione di mediatore in difetto di adeguata competenza, ne valorizza, con l’intero
apparato deontologico che è stato predisposto e previsto, quei requisiti di
professionalità che, così efficacemente sottolineati nell’ordinanza di rimessione
alla Corte Costituzionale, non possono non esprimersi non solo nella capacità di
dominare e padroneggiare le essenziali ed imprescindibili tecniche di mediazione,
e le peculiarità di quest’ultime, ma anche nella capacità, che si coniuga
principalmente se non esclusivamente con l’essere avvocato, di garantire “che i
privati non subiscano irreversibili pregiudizi derivanti dalla non coincidenza degli
elementi loro offerti in valutazione per assentire o rifiutare l’accordo conciliativo,
rispetto a quelli suscettibili, nel prosieguo, di essere evocati in giudizio”. Una
lettura, quest’ultima, che, al di là degli stessi limiti, invalicabili per la proposta di
conciliazione del mediatore, e normativamente previsti, dell’ordine pubblico e
delle norme imperative, vuole valorizzare lo status professionale
dell’avvocato/mediatore che, nel confezionare la proposta conciliativa ed ancor
prima nell’accreditarla, deve offrire e garantire alle parti una completezza degli
elementi di valutazione che non ometta l’informazione su alcunché di ciò che nel
prosieguo potrebbe essere suscettibile di essere evocato in giudizio.Una “offerta”
ed una “garanzia” che possono inquadrarsi nell’ambito della stessa responsabilità
sociale dell’avvocato chiamato a svolgere la delicata funzione di compositore e/o
facilitatore degli interessi delle parti e che troveranno realisticamente ragion
d’essere là ove i soggetti in conflitto non risultino assistiti da legali, in un regime
tuttora di assenza dell’assistenza tecnica obbligatoria.

I canoni II e III dell’art. 55-bis sono posti a presidio degli obblighi di
imparzialità, indipendenza e terzietà dell’avvocato/mediatore civile, con un
particolare rafforzamento garantito dallo stesso richiamo alle previsioni
dell’art.815, primo comma, del codice di rito; il canone II, facendo divieto di
assumere la funzione quando vi siano delle evidenti ragioni di incompatibilità con
una attività professionale in corso o svoltasi nell’ultimo biennio; il canone III, in
coerenza alla latitudine del divieto ricavabile dalla lettera dell’art.14 comma 1 del
D.Lgs.vo 28/2010 (“ al mediatore e ai suoi ausiliari è fatto divieto di assumere
diritti o obblighi connessi, direttamente o indirettamente, con gli affari trattati…”),
rendendo chiaro che il divieto opera anche con riferimento a questioni interessate
da procedimenti di mediazione ormai esauriti.

L’estensione soggettiva ai professionisti soci o associati ovvero che
esercitino negli stessi locali dell’avvocato/mediatore civile è mutuata da quella
prevista dall’art.55 in tema di arbitrato (norma che, come si è detto, dovrà essere
oggetto di un rapido e congruo intervento apparendo, diversamente, e
contraddittoriamente, disassata rispetto a quella di nuova introduzione)
ritenendosi che l’attività di mediazione, pur non essendo dotata di poteri decisori
sulla fattispecie sottoposta alla cognizione (il che è espressamente escluso
dall’enunciazione dell’art.1 lett. b d.leg.vo n.28/2010, riprodotta integralmente
nell’art. 1 lett. d D.M. n.180/2010) come avviene nel caso dell’arbitrato, si
caratterizzi nondimeno – nell’orientare e nel facilitare l’incontro delle parti su una
ipotesi di accordo amichevole e di risoluzione del contenzioso – per i suoi
contenuti valutativi e di giudizio della fattispecie concreta sottoposta all’esame del
mediatore. Da qui l’opportunità di presidiare e garantire comunque l’attività di
quest’ultimo sotto il profilo della imparzialità, della terzietà e della equidistanza
rispetto agli interessi delle parti coinvolte nel procedimento di
mediazione/conciliazione.

Il canone IV del nuovo art. 55-bis è quello che, in sede di consultazione con
le istituzioni forensi, ha registrato, più di ogni altro, una radicale
contrapposizione di vedute, l’una, come già si sottolineava, improntata a criteri di
ancor più stretta rigidità, rispetto alla formulazione del canone poi adottata,
l’altra contraria alla stessa previsione di inserimento del canone.
La scelta che è prevalsa risponde al criterio, già adottato in fattispecie
analoghe (ed il richiamo va nuovamente, sia pure con i distinguo già evidenziati,
alla figura dell’arbitro), di tutelare anche l’apparenza della terzietà ed
indipendenza dell’avvocato-mediatore, quella terzietà ed indipendenza che la
disciplina del nuovo istituto introdotto dalla legge n.69/2009 privilegia e
sottolinea con particolare vigore là ove sembra voler rafforzare quei concetti,
anche sotto il profilo lessicale e terminologico, con l’adozione del termine,
indubbiamente meno tecnico, di neutralità.
Una “neutralità” che risulterebbe inficiata dalla circostanza che l’avvocato-
mediatore ospiti presso il suo studio la sede dell’organismo di mediazione per il
quale egli presta l’attività di mediatore.La contiguità, spaziale e logistica, tra
studio e sede dell’organismo costituisce fattore in grado di profilare una ipotetica
commistione di interessi, di per sé sufficiente a far dubitare dell’imparzialità
dell’avvocato-mediatore.
Ed è la stessa potenzialità e/o “pericolosità” della situazione a costituire un
attentato per l’apparenza della indipendenza e terzietà di quest’ultimo.

Nel diverso caso in cui l’avvocato accolga nel suo studio la sede di un
organismo di mediazione senza contemporaneamente farne parte quale mediatore
(e lo stesso è a dirsi per il caso inverso in cui ad essere ospitato sia l’avvocato
nella sede dell’organismo di mediazione) vengono in soccorso non tanto i criteri
appena richiamati della protezione del bene dell’apparenza e dell’imparzialità e
della terzietà (non svolgendo l’avvocato, in questo caso, attività di mediatore)
quanto quelli che si rifanno al divieto di accaparramento di clientela previsto e
sanzionato dall’art.19 del codice deontologico. La contiguità o addirittura la
sovrapposizione che così si realizzerebbe tra lo studio legale e l’organismo di
mediazione finirebbe per integrare una indubbia situazione di potenziale
accaparramento e/o sviamento di clientela: l’avvocato ospitante od ospitato si
troverebbe a godere di una rendita di posizione volta ad acquisire come potenziali
clienti coloro che volessero sperimentare la mediazione o coloro che avessero
frequentato l’organismo con esito negativo sul piano della conciliazione.
La giurisprudenza del Consiglio Nazionale, in casi assimilabili a quello in
esame, giustifica e rende plausibile, in ossequio anche a quel principio di
coerenza di sistema richiamato all’inizio di questa relazione, l’introduzione del
canone così come formulato in sede di novella deontologica.
Naturalmente saranno poi le circostanze del caso concreto, nella
multiforme varietà di situazioni che la realtà sempre offre e riserva, a consentire
di modulare, in sede applicativa, la novella deontologica nella maniera più
equilibrata ed appropriata.
Gli interventi operati sulla previgente formulazione dei canoni di cui agli
artt. 16 e 54 del cod. deont. hanno trovato generale ed unanime condivisione,
rispondendo, quello sull’art.16, alla intuibile esigenza di evitare equivoci, sempre
possibili anche se improbabili, derivanti da coincidenze lessicali e terminologiche
e risultando, l’integrazione di cui all’art.54, del tutto plausibile e giustificata
nell’ambito della operatività cui l’avvocato è chiamato dall’applicazione
dell’istituto della mediazione/conciliazione.

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Modificato: 6 Aprile 2021